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The new wild

Brani dagli scritti degli studenti

La voce narrante del film sembra essere una superstite che racconta e spiega com’era la vita li, prima dell’abbandono. 
(Giorgia Comelli, Liceo Caterina Percoto, Udine)

Ciò che colpisce è vedere la forza della natura che si riappropria di ciò che una volta era suo. In questo processo crea un paesaggio completamente nuovo e diverso dal precedente. 
(Filippo De Lorenzi, Liceo Caterina Percoto, Udine)

Il tema centrale di questo documentario è l’abbandono delle campagne, il cambiamento del rapporto dell’uomo con esse e con il mondo naturale. Il film viene suddiviso in tre parti: nella prima parte il regista si concentra sul significato dell’abbandono di questi luoghi. La seconda parte illustra i nuovi boschi spontanei da cui questi paesi sono circondati. Infine, nella terza parte, il film si sofferma su un singolo villaggio. La storia e il messaggio che il film vuole dare viene esposto attraverso una voce narrante che parla in contemporanea ad un susseguirsi di immagini e filmati di quelli che sono appunto luoghi ormai abbandonati e deserti. Ciò che colpisce di questo documentario è sicuramente la fotografia, che appare affascinante, merito anche dei bellissimi luoghi ripresi. 
(Ester Masarotti, Liceo Caterina Percoto, Udine)

The new wild è un docufilm, in cui il regista, Christopher Thompson, racconta di quei paesaggi, di quei luoghi che noi uomini abbiamo abbandonato e abbiamo lasciato cadere in rovina; racconta di  quei luoghi nei quali, un tempo, si ergevano paesi popolosi e pieni di vita, nei quali ora, si ergono solo ammassi di mattoni, sassi e tegole.

Siamo nel Nord Italia, in Friuli, nei dintorni di Moggio Udinese, in quei paesi in cui sono rimasti pochi abitanti, o addirittura nessuno; paesi che ora sono tornati ad essere di proprietà degli animali selvatici, che possono trovare riparo tra i numerosi ruderi.

Narra di quei luoghi in cui la vegetazione si è riconquistata il suo spazio, crescendo sulle pareti di case malconce e fra i buchi nei tetti. Rivela tutto ciò attraverso la voce di una calma donna che ci sussurra, descrivendoci e ci guidandoci nella comprensione delle immagini e dei paesaggi mozzafiato; immagini talvolta angosciose e tristi, talvolta gioiose e tenere. Semplicemente racconta della natura che pian piano si riprende i suoi territori. 
(Chiara Vuattolo, Liceo Caterina Percoto, Udine)

Il documentario di Christopher Thompson racconta le storie di desolazione dei piccoli paesi sperduti tra le alpi friulane. Con una serie di lunghe inquadrature sui paesaggi montani, il regista che ha vissuto per sette anni nella piccola località montana di Dordolla (frazione di Moggio Udinese), ci mostra il progressivo abbandono dei villaggi ormai immersi nel silenzio e nella calma della natura circostante. La vita che li caratterizzava un tempo, quando ancora erano abitati da famiglie di allevatori, è solo un ricordo impresso nelle mura ormai sopraffatte dalle radici, alberi, arbusti ed erbacce. Il bosco che circonda questi piccoli centri avanza sempre più, avvolgendo le ultime tracce umane in un’atmosfera quasi malinconica. 
(Noemi Boezio, Liceo Caterina Percoto, Udine)

Un documentario che apre gli occhi sulla società di oggi, attraverso delle immagini, accompagnate da musica e voce narrante, “the new wild” ci fa guardare la realtà, facendoci notare che mentre la popolazione rurale invecchia e si sposta a valle, in Europa stanno nascendo nuovi paesaggi. Qualcosa cresce tra le rovine, dando vita a nuove piccole storie: un villaggio abbandonato in una valle di montagna, in continua lotta con la sopravvivenza, ci fa riflettere sul nostro rapporto con la città, con il mondo rurale e naturale. 
(Giulia Forte, Liceo Statale Aprosio, Ventimiglia)

Il film documentario è stato scritto, diretto e prodotto da Christopher Thompson, in collaborazione e con il sostegno dell'Università di Innsbruck e vede una collaborazione internazionale di diversi soggetti, è uscito nelle sale nel novembre del 2017, dopo aver partecipato a diversi film festival internazionali: Innsbruck Nature Film Festival, Sofia Independent Film Festival, Alpine Museum Switzerland Film Festival, Camerimage International Cinematography Film Festival e Tallin Black Nights film Festival. Christopher Thompson vive e lavora tra l'Inghilterra, l'Italia, l'Austria e la Turchia, The new wild è il suo primo lungometraggio: è interessato al paesaggio ed agli spazi che ne  rimangono ai margini e, probabilmente per questo, offrono indicazioni per la comprensione della nostra contemporaneità. Le terre abbandonate che ci mostra il regista sono quelle di alcuni paesi montani della Val Aupa, sulle alpi carniche, terre di confine tra il Friuli Venezia Giulia, l'Austria e la Slovenia: fin dalle prime immagini, realizzate con campi lunghi, in cui il verde della vegetazione e l'azzurro spento e sterminato del cielo invadono i nostri occhi, sono messe in discussione le idee stesse di natura, di futuro, di passato, di ambiente abitato. “Quello che stiamo vivendo” ci dice un'ipnotica voce narrante femminile, “è una nuova rivoluzione culturale, la più grande da quando l'uomo ha abbandonato la foresta per lavorare i campi: ora l'uomo li abbandona per le città”. La forza della natura, l'assenza dell'uomo, il ricordo sbiadito, ma ancora presente della sua presenza, ci vengono raccontati con una poeticità delle parole legate indissolubilmente alle immagini: gli alberi che riprendono a crescere, gli arbusti vigorosi ed alti, dove un tempo erano distese di bassi pascoli, l'erba che si radica in profondità, perfino tra le fessure della case abbandonate, oltrepassano il confine che l'uomo aveva dato loro secoli prima. Le radici profonde di quegli alberi, di quegli arbusti, di quell'erba sembrano simboleggiare l'assenza di radici umane: le storie di tanti uomini, di tante donne, che lì hanno vissuto, cresciuto figli e nipoti, costruito case e stalle, allevato animali, coltivato campi, dove l'erba veniva tagliata e non era alta come ora ci appare: le storie di questi paesi sono state cancellate da anni di assenza ed ora rimangono soltanto tracce di umanità ricoperta da una nuova comunità vegetale e selvatica: “the new wild”.  Ma c'è una luce, una nuova luce umana: la possibilità di una rinascita, sono alcune piccole, giovani aziende agricole, che risvegliano il borgo perduto a valle ed i campi tra la montagna ed il villaggio, c'è nuovamente aria di festa, di comunità, di accoglienza, la musica della banda di paese risuona nuovamente nella valle. Sono quattro le sezioni che articolano lo svolgere del film e suggeriscono il procedere delle stagioni: la lentezza e l'incanto della poesia sussurrata dalla voce narrante si alterna al suono del vento tra le fronde, come la stessa Natura che si apre al sole del mattino, l'essere umano, poco a poco, e solo alla fine si svela, nella festa di paese risuonante di voci, colori, gioia.  Questo film potente e poetico scuote l'anima e la mente e  ci mostra il fluire del tempo e della vita, umana e selvatica, in continua trasformazione: l'ho amato sin dal primo fotogramma. 
(Alessia Anajs Menarini, Liceo Statale Aprosio, Ventimiglia)

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Molecole

Brani dagli scritti degli studenti

Segre inserisce elementi della sua vita privata suscitando curiosità nello spettatore.

(Emilia Apuzzo, Liceo Caterina Percoto, Udine)

Il documentario di Andrea Segre racconta e mostra una Venezia durante il lockdown attraverso i ricordi del padre, originario di questa città, e i filmati di quest’ultima che per la prima volta rimane vuota, silenziosa, quasi irriconoscibile. Il regista sceglie di esprimersi attraverso un dialogo per parole e immagini col padre, Ulderico Segre, che seppur ha molto amato, non ha mai compreso fino in fondo. I dialoghi sono costruiti mediante le lettere che il regista scriveva al padre, sia con la sua voce di sottofondo che spesso si rivolge direttamente alla figura paterna con domande e osservazioni, e le immagini, foto e filmati che il genitore girava da giovane. Il filmato si presenta perciò come un continuo dialogo; Segre decide di inserire nel suo documentario molte storie in prima persona di veneziani, per raccontare anche dal punto di vista degli abitanti tutte le sfaccettature di questa città.  Il senso di inquietudine e di stranezza nel vedere Venezia deserta è costruito grazie ad una fotografia suggestiva che mostra una fredda bellezza, e anche le inquadrature e la musica hanno permesso sicuramente al regista di far arrivare il contenuto. Ho trovato questo documentario molto curato e ben elaborato, il film alterna momenti intensi e interessanti con altre situazioni meno coinvolgenti che tendono a diradare troppo il racconto. 
(Ester Masarotti, Liceo Caterina Percoto, Udine)

Nato quasi per caso, il film “Molecole” di Andrea Serge mostra una Venezia mai vista prima. Questo documentario è caratterizzato dall’uso delle fonti d’archivio, infatti il regista ha utilizzato delle foto e dei filmati realizzati da suo padre ed ha anche fatto ricorso a delle fonti storiche della città di Venezia. “Molecole” alterna così interviste agli abitanti e racconti personali della vita dell’autore. Le prime mostrano quello che i turisti non vedono di Venezia, mentre i secondi fanno capire allo spettatore il legame di Andrea Serge con suo padre ormai scomparso... Le riprese della città mostrano una Venezia vuota, priva di vita, contraddistinta da una tranquillità che non si vedeva da anni. “Molecole” rivela così la città di Venezia durante il lockdown e allo stesso tempo ci presenta un racconto personale e intimo di un regista in dialogo con suo padre scomparso.
(Jessica Battistutta, Liceo Caterina Percoto, Udine)

Il regista inserisce ricordi sia del suo passato che degli intervistati mettendoli in correlazione con gli stati d’animo del presente, evidenziando il distacco e la diversità tra ieri e oggi, potendo scoprire i vissuti delle altre persone, le aspirazioni che avevano e quello che invece sono diventati. 
(Maya Ferigo, Liceo Caterina Percoto, Udine)

Il regista è riuscito a far entrare Venezia nelle case di tutti coloro che hanno guardato il film. 
(Federica Verde, Liceo Caterina Percoto, Udine)

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Res Creata

Brani dagli scritti degli studenti

Pur costruendosi su un ritmo narrativo lento e proponendo immagini evocative, quasi ermetiche o arcane, il film riesce ad inviare messaggi in modo diretto e conciso, facilmente comprensibili, anche grazie ad alcune citazioni e interventi di personaggi e studiosi che hanno scelto di passare la loro vita in mezzo agli animali.
La visione di questo docu-film può diventare un soggetto di riflessione che può portare ad un cambiamento di stile di vita, un argomento di dibattito ed una maggiore consapevolezza riguardante il comportamento che dovremmo avere nei confronti degli altri esseri e anche di noi stessi. 
(Giada Vercellino, Istituto Istruzione Superiore Statale Des Ambrois, Oulx)

Con questo film, il regista ha voluto rompere i confini che esistono tra uomo e animale per portarci a comprendere quanto in realtà questi due mondi siano collegati. Le interviste e le lunghe inquadrature creano un legame armonico che richiama quello che intercorre fra tutti gli esseri viventi. Attraverso le testimonianze di chi vive a stretto contatto con gli animali ed anche le riflessioni di alcuni studiosi, si riesce a percepire quello che potrebbe essere il messaggio che vuole trasmettere Alessandro Cattaneo: l’essere umano, essendo lui stesso un animale, ha semplicenente bisogno di stare a contatto con gli altri animali. 
(Jessica Battistutta, Liceo Caterina Percoto, Udine)

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Christo

Brani dagli scritti degli studenti 

Questo documentario ci mostra la costruzione e la realizzazione del progetto "The Floating Piers" comprese discussioni e ostacoli, permettendoci di entrare nella storia e vivendola al fianco dei protagonisti. 
(Isotta Radelli, Istituto Istruzione Superiore Statale Des Ambrois, Oulx)

Siamo talmente vicini al protagonista che in molteplici scene possiamo osservare la personalità stessa di Christo: esuberante, precisa e a tratti narcisista.
(Virginia Schirru, Istituto Istruzione Superiore Statale Des Ambrois, Oulx)

Il film documentario racconta l'intero percorso di realizzazione di “Floating Piers”, progetto ambizioso e visionario di Christo e di sua moglie Jeanne Claude, assieme alla quale l'artista bulgaro ha concepito e realizzato ogni installazione ed opera di land art, nell'arco di cinquant'anni di carriera. Il regista è lo scrittore e film maker  bulgaro Andrey Paounov, vincitore del premio Silver Wolf e del River Run International Festival, che, dopo aver partecipato anche al Cannes festival, è stato premiato al Locarno International Film Festival,  proprio per “ Christo walking on the water”. “Christo walking on the water” ci dice il regista “ ha un doppio significato. E' un riferimento all'esperienza offerta da The floating piers, ma rappresenta anche l'obiettivo finale: realizzare un film che possa offrire ad ogni spettatore l'opportunità di camminare sulle orme di Christo e della sua creazione”. E questo accade, infine, dopo aver seguito Christo ed il suo staff, sin dalla prima progettazione nel suo studio, dove possiamo vederlo mentre realizza una gigantesca stampa del ponte, che si snoda come un serpente dorato sulle acque del lago d'Iseo e  mentre discute animatamente con i suoi collaboratori; lo seguiamo mentre si reca in una scuola e spiega ad i bambini che la passione per ciò che fa lo spinge ad investire tutte le sue energie nei suoi progetti, assistiamo al suo viaggio verso l'Italia, al suo arrivo sul lago ed al turbinio di incontri con la prefettura locale per avere i permessi di realizzazione dell'opera, all'organizzazione del lavoro sul cantiere, ai sopralluoghi in motoscafo, ripresi dall'alto, in cui il lago sembra riflettere luce in continuo movimento ed in tutto questo Christo è sempre animato, concentrato, diretto all'obiettivo, quasi folle, ma per lui, necessario, di creare un pontile galleggiante autoportante e fasciato di tessuto, lungo tre chilometri, su cui migliaia di persone proveranno la sensazione di camminare sull'acqua. E' l'artista stesso a dirci che i suoi progetti sono opere d'arte e sono del tutto inutili e che esistono solo perché a lui ed alla moglie, qui già scomparsa, ma continuamente da lui celebrata, piace realizzarli e guardarli, è l'artista stesso a ricordarci che quest'opera deve essere vissuta, goduta in uno spazio fisico, in un tempo fisico, autentico: egli rifiuta la virtualità di questo tempo, tanto da odiare i media tecnologici, di cui si deve servire per comunicare a distanza con il suo staff: Christo celebra la realtà sociale di migliaia di persone che si riversano sul suo ponte, dopo esser stati pazientemente ore in fila ad attendere il proprio turno per salire e camminare, finalmente, sull'acqua. Seguiamo Christo, per un'ultima volta, sull'elicottero, da cui ci appare, in tutta la sua abbagliante luce, la distesa azzurra del lago attraversata dall'oro drappeggiato del pontile, gremito di uomini, donne e bambini, simili a statuine di uno strano presepe in movimento e ci chiediamo quanto sarebbe potuto essere diverso, se fossimo stati lì anche noi. Io, di sicuro, ne sarei stata felice. 
(Alessia Anajs Menarini, Liceo Statale Aprosio, Ventimiglia)

Amate l’arte e la determinazione? Ecco il documentario fatto apposta per voi. 
(Carlotta D'Adamo, Liceo Statale Aprosio, Ventimiglia)

Il film permette allo spettatore di diventare osservatore diretto dell’opera, come se si stesse partecipando attivamente alla realizzazione dell’opera stessa e si vivessero i momenti di tensione relativi ai vari problemi che si susseguono durante la realizzazione insieme a Christo e al suo assistente Vladimir. 
(Andrea De Marchi, Istituto Istruzione Superiore Statale Des Ambrois, Oulx)

Stupore e fascino: questo ciò che l’artista belga Christo cerca di regalare ogni volta agli osservatori delle sue opere d’arte. Definibile come "manifattore di cose potenzialmente irrealizzabili", nel giugno del 2016 questo esile uomo dalle grandi idee, insieme a numerosi collaboratori, inaugurò una passerella galleggiante lunga tre chilometri la quale permetteva di attraversare da un’isola all’altra, il lago d’Iseo. Ed è proprio il regista Andrey Paounov che in soli 100 minuti, ha portato sul grande schermo un documentario intitolato “CHRISTO – Walking On Water”, attraverso il quale ci mostra senza veli e con immagini di grande impatto l’intero processo di realizzazione del “The Floating Piers”, titolo dell'opera. Le scene ci vengono presentate tramite un occhio del tutto oggettivo ma che non si astiene dal cogliere e mettere in risalto i tratti ironici e bivalenti dell’artista-protagonista.  Sono ricorrenti  infatti momenti nei quali Christo lascia trasparire il suo lato burbero, sostenendo con forza ogni sua decisione, ponendosi in contrapposizione con il suo essere fragile e la sua costante necessità di esser affiancato da Vladimir, il suo fidato assistente. Un susseguirsi di immagini conduce lo spettatore in tutto il percorso che queste due persone di gran personalità sono tenute a seguire per vedere con i loro occhi una straordinaria opera d’arte. 
(Rachele Pelle, Istituto Istruzione Superiore Statale Des Ambrois, Oulx)

Giugno 2016: la chioma bianca di Christo, un uomo sull’ottantina dalla camminata fragile in netta antitesi col suo spirito, viene scompigliata dal vento del lago di Iseo. Le onde dolci del lago si infrangono sulla banchina: ma proprio sopra queste la genialità di Christo, artista di fama mondiale, e della moglie Jeanne Claude, mancata nel 2009, ha concepito un progetto di grande portata: realizzare un camminamento di tre chilomentri su quelle stesse onde dolci. Ed è così che il docufilm Christo- Walking on Water, racconta la realizzazione di questo progetto con la dinamica cadenzata della realtà mostrando l’arte nella vita di un uomo e come questa, scontrandosi con realtà materiali, burocrazia o l’imprevedibilità degli agenti atmosferici, coinvolga la sinergia di più menti e forze. Il film, proprio come l’acqua che prima di incresparsi nell’onda procede tranquilla, alterna momenti quasi statici ad altri febbricitanti molto spesso accompagnati da un  sonoro allegro, “scrosciante”. 
(Cristina Rosso, Istituto Istruzione Superiore Statale Des Ambrois, Oulx)

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L'ordre

Jean-Daniel Pollet

Francia, 1973 / 40 min

Girato interamente sull'isola di Spinalonga, in Grecia, L'Ordre racconta la storia di emarginazione subita dai lebbrosi greci, che a partire dal 1903 il Governo recluse considerandoli soggetti pericolosi e nocivi per la popolazione "sana". Raimondakis, uno degli esclusi dalla comunità, narra la storia della sua vita davanti alla cinepresa gridando la sua indignazione.

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