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Mix-Up ou Meli-Melo | Brani dagli scritti degli studenti

Mix-Up ou Méli-Mélo è il titolo del primo lungometraggio della regista francese Françoise Romand, un esordio che sovverte e trascende i canoni del documentario, come Romand farà più volte nel corso della sua carriera. È la storia di uno scambio in culla avvenuto nel 1936 in Inghilterra, tratteggiata dalle voci alternate dei signori Rylatt e Wheeler, coinvolti personalmente nella vicenda. Trascorsi vent’anni dall’evento che lega indissolubilmente le due famiglie, la verità viene a galla e con lei trovano finalmente pace i sospetti riguardo al presunto scambio. Il filo rosso del documentario è il doppio, che si innesta come elemento di unificazione e scissione dei destini narrati, ma che è, al tempo stesso, un elemento visivo ricorrente in un’opera costruita per simmetrie e binarismi, in cui il francese si alterna all’inglese, il blu è accostato al rosso e così il documentario si scosta e si avvicina al surreale. Alla ripresa frontale è affidato il compito di seguire i soggetti che si perdono e si ritrovano nei riflessi degli specchi e dei vetri. Con spirito ironico e poetico, la regista delinea un universo di affetti e relazioni composito e frammentato: il nostro. (Classe 4L, Liceo Statale “Aprosio”, Ventimiglia)

In Mix-up ou Méli Mélo Francoise Romand dà la parola ad alcuni componenti delle due famiglie, il cui scopo è quello di raccontare la vita di due ragazze inglesi che, appena nate, sono state scambiate per sbaglio in un ospedale, e che scoprono molti anni più tardi che non sono state cresciute dai loro genitori biologici. Le persone sono riprese frontalmente. Tutti gli elementi formali del film vertono molto sul tema del doppio e dello scambio, ma anche sul rapporto tra le cose passate e quelle presenti. Viene spesso fatto utilizzo degli specchi e delle ombre. Per esempio mentre un uomo anziano attraversa l’inquadratura si può notare la sua ombra sulla parete a cui è appeso un quadro che lo ritrae, o quando la sua immagine viene riflessa su uno specchio e l’uomo commenta sorpreso: ”Sono io”. Quindi è come se lui scoprisse la sua figura senza però riuscire a identificarla del tutto. (Stefan Markovic, Liceo Statale “Des Ambrois”, Oulx)

Per introdurre personaggi legati agli eventi, ma che non appartengono alla famiglia, decide di farli parlare da un double-decker bus, che viene usato come un simbolo di passaggio: infatti queste persone sono “salite” e poi “scese” dalla vita delle protagoniste. Inoltre, la regista gioca molto sui riflessi (es. specchi) e sulle prospettive e fa riferimenti all’arte, in particolare alla fotografia, e forse anche a quadri (come il dipinto American Gothic che la regista sembra ricreare con i suoi personaggi). Ne risulta un film molto statico e molto particolare, adatto a un pubblico ricercato. Ho trovato anche insolito che una regista francese abbia fatto un film su una famiglia inglese in Gran Bretagna. (Gaia Casse, Liceo Statale “Des Ambrois”, Oulx)

La regista, in ampi tratti della pellicola, sembra anche svolgere la funzione di fotografa: si sofferma sui minimi particolari, specialmente per quando riguarda le inquadrature delle persone, quasi esclusivamente primi piani, per porre al centro dell’attenzione il personaggio che in quel momento sta parlando. Ciò permette di capire le varie emozioni e sensazioni che i personaggi hanno provato nel vivere gli avvenimenti narrati. Con l’uso di questa tecnica però viene meno la dinamicità del film, essendo la scena prevalentemente statica. Per quanto riguarda l’aspetto fonico, i vari suoni e le musiche hanno ognuno una funzione particolare che mette in risalto una determinata situazione e che li rende molto più che un contorno delle scene. (Enrico Goffi, Liceo Statale “Des Ambrois”, Oulx)

Il film è strutturato come un documentario, nel quale si susseguono le interviste aventi come scopo non solo la narrazione della vicenda ma anche la ricostruzione di alcuni momenti chiave. Soffermandosi sugli aspetti più tecnici del film pare di essere di fronte al lavoro di un fotografo più che di un cineasta. Ogni inquadratura è infatti studiata nel dettaglio e il risultato ottenuto nella maggior parte dei casi è quello di una ripresa pulita, libera da elementi sovrabbondanti o eccessivi; è proprio questa strutturazione dello spazio filmico che rende diverse inquadrature rassomiglianti a dei quadri. Attraverso questi accorgimenti tecnici Françoise Romand vuole trasmettere non solo un semplice avvenimento, un fatto di cronaca: ella cerca di andare oltre e presentare anche le sfumature psicologiche dei protagonisti del film, evidenziando in particolar modo i differenti approcci delle due madri. Molto interessante l’uso che Romand ha fatto della musica in tale film: essa non svolge quasi mai la funzione di semplice sottofondo, al contrario ricopre una posizione decisamente importante, centrale in diverse scene. Tale compito è stato affidato al musicista Nicolas Frize. (Jean François Col, Liceo Statale “Des Ambrois”, Oulx)